Impresa familiare, dentro anche il convivente di fatto
Riconosciuto il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione come già avviene nei confronti del coniuge
La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 230-bis, terzo comma, del codice civile, nella parte in cui non prevede come familiare - oltre al coniuge, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo - anche il «convivente di fatto» e come impresa familiare quella cui collabora anche il «convivente di fatto». Si ricorda che per «conviventi di fatto» – secondo la legge – si intendono «due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale».
Sulla questione, la Corte costituzionale ha sottolineato che, in una società profondamente mutata, vi è stata una convergente evoluzione sia della normativa nazionale, sia della giurisprudenza costituzionale, comune ed europea, che ha riconosciuto piena dignità alla famiglia composta da conviventi di fatto.
Rimangono le differenze di disciplina rispetto alla famiglia fondata sul matrimonio; ma quando si tratta di diritti fondamentali, questi devono essere riconosciuti a tutti senza distinzioni. Tale è il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione; diritto che, nel contesto di un’impresa familiare, richiede uguale tutela, versando anche il convivente di fatto, come il coniuge, nella stessa situazione in cui la prestazione lavorativa deve essere protetta, rischiando altrimenti di essere inesorabilmente attratta nell’orbita del lavoro gratuito.